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“Sordi non può essere esportato”, – sosteneva una certa parte della critica intendendo che un ricco bagaglio culturale linguistico, regionale e nazionale di Albertone fosse incomprensibile all’estero come, in gran parte, erano intraducibili le sue battute. Questo studio vuole approfondire la diffusione del fenomeno Sordi all’estero nonostante le ovvie difficoltà linguistiche.
Carlo G. Fava, autore della monografia “An American in Rome”, si chiede come si fa ad affrontare Alberto Sordi “senza dover dire qualcosa di ovvio. Ed è un’altra sfida per me, cittadina italiana che viene dall’estero: raccontare ciò che si conosce, trovandone gli aspetti e i risvolti nuovi, mai messi in risalto prima. Senza dubbio, il personaggio di Alberto Sordi è un frutto di un lavoro costante di tutt’una vita del famoso attore che improvvisava senza smettere, ed era così abile in ciò da sembrare un’improvvisazione vivente che non si interrompe mai. Un mix di casuale e preparato, soffiatore grottesche, pronuncia particolare, andature e gesti inventati.
La più interessante parte del lavoro di Sordi è la satira rivolta ai costumi dei suoi tempi e la creazione di personaggi che sono stati i volti di varie epoche. Lo sapeva fare benissimo perché, come Renato Rascel, Ugo Tognazzi, Walter Chiari e Totò, veniva dal varietà. E lo faceva sia come attore, sia come sceneggiatore e regista.
Alberto Sordi è diventato, comunque, un interprete del cinema internazionale in quanto ha fatto alcune scelte intuitive che all’estero lo hanno, indubbiamente, portato. Ha creato delle maschere, si è concentrato sulla gesticolazione, si è rivolto al patrimonio della Commedia dell’arte – e questi sono già linguaggi generalmente accessibili e comprensibili.
Il patrimonio di Sordi è il frutto di un’invenzione fantastica, il lavoro di attore dotato di un senso di distorsione ironica, irrefrenabile nelle sue sfumature sopra le righe ed eccessive.
Albertone si concentra sul personaggio di un romano di classe operaia o di classe media. In più, si diverte a fare le parti degli ecclesiastici. L’abilità di sconsacrare il sacro fa parte della sua innata romanità. Sordi, anche senza volerlo, diventa il paladino della romanità sul grande schermo, e, grazie a lui, parecchi detti romaneschi entrano a far parte del linguaggio dell’italiano comune.
Sordi collabora con Verdone: si dirigono a vicenda. Ha un legame forte con lo sceneggiatore e autore Rodolfo Sonego che l’aiuta a formarsi come regista.
Sordi – è fuori discussione! – ne aveva, di talento, e lo mostrava sul palco, alla radio, nel doppiaggio. Ma il cinema sembrava non interessarsi a lui, perfino nel 1942 quando gli arriva la notorietà con il film “I tre aquilotti”.
Nel 1944 Alberto Sordi viene notato dalla critica nel film di Duilio Coletti “Tre ragazze cercano marito” recensito dal Giornale d’Italia. Il giudizio espresso al riguardo di Albertone è più che positivo: lo si ritiene “bravo al cinema quanto lo è a teatro”.
Albertone cresce come artista e va acquisendo le caratteristiche che poi formeranno la sua immagine: nel 1948, nel film “Che tempi!” di Giorgio Bianchi interpreta un amico argentino di Walter Chiari risolvendo la parte con caratterizzazioni e accento (diventerà, col tempo, la tipica reazione di Sordi all’assenza di indicazioni registiche). Negli anni cinquanta – che per Sordi
diventano esplosivi – gli arriva la svolta. Alberto si trasforma in una figura conosciuta allo spettatore italiano. La sua parodia e ironia, la sua capacità di interpretare i piccoli borghesi tragicomici compiono il miracolo: Sordi arriva al successo. Lavora con Fellini ne “Lo sceicco bianco” e ne “I Vitelloni”. Nel 1954 partecipa a “Un giorno in pretura” – il set su cui insiste che il produttore allungasse il film per inserire un episodio scritto da lui stesso. Così nasce il personaggio di Fernando Moriconi ovvero l’Americano a Roma. Ci lavora nei film successivi, dandogli via via profondità e sfumature. In quegli anni Sordi viene diretto dai più importanti registi italiani: Mario Soldati, Dino Risi, Mario Monicelli, Renato Castellani.
Il film “Mamma mia, che impressione” diretto nel 1951 da Roberto Savarese non portò a Sordi un particolare successo, ma sdoganò al cinema il personaggio che si andava costruendo. Albertone inizia ad essere simpatico allo spettatore grazie alle sue occhiatacce comiche.
Su uno dei set dei primi anni cinquanta Alberto Sordi parla a un regista per far dare la parte a una ragazza scritturata come comparsa. Era la giovane Sofia Loren.
All’interno del felliniano “Sceicco bianco” Sordi arricchisce il personaggio comico con sfumature drammatiche. Fellini glielo lascia fare. Anzi, l’incoraggia a farlo. Fellini viene consacrato con il suo film successivo, “I Vitelloni” (1953). Sordi approfondisce il suo personaggio.
Negli anni cinquanta Sordi sperimenta con le parti, dal protagonista passa al caratterista, e poi riprende a fare le parti principali. La creatività di Sordi si spinge anche oltre a ciò che permetteva allora la censura, come ne “I tempi nostri. Zibaldone n.2”. Le abilità istrioniche di Albertone arrivano all’apice nel 1954 con il film “Gran varietà” nel cui episodio “Fregoli” Sordi si trova ad interpretare ben quindici personaggi diversi cambiando look e carattere in un batter d’occhio.
Resta, però, il pregiudizio: “all’estero non funziona”. Nel docufilm di Zeffirelli che doveva essere un omaggio alla città di Roma, Alberto Sordi non è presente. Zeffirelli non ce lo mette perché, a suo avviso, Albertone non sarebbe stato “veramente internazionale”. A sostegno di Albertone si esprimono subito Christian De Sica, Carlo Lizzani, Carlo Vanzina e altre personalità dello spettacolo. Coglie nel segno il commento di Enrico Montesano: “Penso che Roma sia internazionale: è il Caput Mundi. E Alberto Sordi ne è l’espressione massima”.
Esploriamo il fenomeno di Alberto Sordi al di fuori dei confini nazionali per scoprire il suo vero respiro e la capacità di stare ai cuori e alle coscienze di tutto il mondo.
Alberto Sordi ebbe riconoscimenti e celebrazioni da parte dei miti del cinema mondiale come Martin Scorsese e Al Pacino. Francis Ford Coppola lo ricevette a casa sua e lo omaggiò ne “Lo sceicco bianco” in uno spot che girò con Ghini. Dopo “Un americano a Roma” a Sordi conferirono la cittadinanza onoraria di Kansas City.
Nel 1962 Alberto Sordi si innamorò della località svizzera Arenmatt nel massiccio San Gottardo. È un paese montano ad alta quota: 1438 m sopra il livello del mare. L’intenzione di Sordi era quella di costruirci un villino residenziale, una casa per le vacanze. Questa possibilità gli fu negata dalla capitale svizzera. A Berna si decise di non accordare a uno straniero la residenza in una località piena di bunker costruiti contro la minaccia di un’invasione – prima tedesca, poi sovietica. Il territorio di Arenmatt era considerato sensibile e strategico per la sicurezza nazionale svizzera. Alberto Sordi si rivolse a un bravo avvocato, ma non c’era niente da fare. Fu addirittura sospettato di essere una spia dell’URSS. Correva l’anno della crisi caraibica, la contrapposizione fra le due superpotenze era al suo apice. I sospetti erano comprensibili. Sta di fatto che Alberto Sordi mostrò un fiuto di affari, perché, già negli anni novanta quello stesso territorio fu ceduto all’imprenditore egiziano Samih Sawiris il quale ripetette ad Arenmatt il successo da lui raggiunto a Sharm El Sheikh trasformando il paese montano in una perla di turismo alpino svizzero.
Cosa c’è di vero nell’accusa di spionaggio mossa a Sordi senza prova alcuna? Evidentemente, niente. È vero solo che i personaggi creati dal grande comico italiano piacevano a destra e a sinistra, in Oriente e in Occidente, prescindere delle vedute politiche e dalle barriere imposte dalla guerra fredda.
Nel 1969 Alberto Sordi si reca al Sesto Festival internazionale del cinema di Mosca. Insieme a Monica Vitti, porta alla kermesse sovietica il film “Amore mio, aiutami”. È in una buona compagnia di star occidentali. Ma è una delle rarissime volte in cui Sordi valica la “cortina di ferro”, anche se la valicano i film che gira da attore e regista come “Tutti a casa”, “”Una vita difficile”, “La grande guerra” e tantissimi altri.
Nel 1972 il Festival del cinema di Berlino conferisce a Sordi l’Orso d’argento per la sua interpretazione in “Detenuto in attesa del giudizio” di Nanni Loy.
Nel 1983 il Festival di Mosca lo premia per il contributo nello sviluppo dell’arte cinematografica. Questo riconoscimento è arrivato a seguito della presentazione alla kermesse sovietica del film “Io so che tu sai che io so”, film diretto ed interpretato da Albertone.
Nel 1985 Alberto Sordi è invitato alla Berlinale in qualità di giurato.
Alberto Sordi non era estraneo al fascino degli artisti sovietici. Ad esempio, ha apprezzato il balletto della prima ballerina bielorussa Lyudmila Brzhazowskaya, benevolmente accolta a Roma da Federico Fellini, Giulietta Masina e Franco Zeffirelli. Alberto Sordi si è fatto ricordare per una battuta:
“Danzate Adamo ed Eva. Ma i costumi sono naturali?” La prima del balletto bielorusso ha risposto che erano sintetici, e le risate hanno reso la serata indimenticabile.
Nei paesi ex sovietici come l’Armenia (dove Albertone viene doppiato da Artem Karapetyan) e la Georgia, Alberto Sordi viene paragonato ai grandi comici nazionali come Frunzik Mkrtchyan e Vakhtang Kikabidze. Le riflessioni dei critici d’arte al riguardo vertono attorno alla grandezza di un vero comico come Charlie Chaplin e Fernandel – ovvero, la capacità di far ridere allo spettatore dopo avergli fatto attraversare tutte le emozioni compreso il dolore e, soprattutto, dopo averlo fatto pensare ed esprimere un giudizio. Una vera comicità sarebbero i passi di un equilibrista sopra un abisso di sofferenza, e Alberto Sordi di tale equilibrismo era un maestro indiscusso.
Parlando dell’Unione Sovietica nella sua interezza, negli anni settanta Eldar Ryazanov,il famosissimo regista dell’URSS, avrebbe invitato Sordi ad interpretare una delle parti nel suo film cult “Le avventure degli italiani in Russia”, e solo il produttore italiano non gliel’ha fatto fare. Forse, per le questioni del budget. O anche per la contrapposizione fra le superpotenze: se Alberto Sordi poteva sembrare “filosovietico” agli occidentali dopo il film come “Una vita difficile”, poteva anche risultare fin troppo filoamericano agli occhi delle autorità dell’URSS.
Equidistante, quindi, dalle due potenze mondiali, Sordi è unanimemente accolto al di qua e al di là della cortina di ferro. È un italiano superpartes.
Il programma televisivo Storia di un italiano da lui condotto ha fatto conoscere il suo famigerato “italiano medio”, anche a coloro che non avevano mai potuto vederlo al cinema.
E ciò non fa che rivalutare il suo lavoro sui personaggi i quali non sembrano più così tanto ordinari come prima, acquisendo valore e particolarità. Alberto Anile nella sua monografia dal titolo “Alberto Sordi” sostiene: “sarebbe sbagliato considerare i personaggi di Alberto Sordi varie manifestazioni di un “italiano medio”. Sono, piuttosto, i volti di un italiano, molteplici sfaccettature del carattere nazionale con i suoi pregi e, soprattutto, difetti che vengono ingranditi e portati al grottesco.
Sordi rappresenta un italiano all’estero in film molto diversi fra loro, fra cui il già citato “Che tempi!” di Giorgio Bianchi, I magliari di Francesco Rosi o Bello, onesto, emigrato Australia… di Zampa.
In tutti questi film Sordi interpreta un personaggio che, diremmo noi oggi, non si integra, resta praticamente intatto dal luogo in cui viene ad abitare e si crea legami solo con i propri connazionali, emigrati come lui. È esattamente il caso di Un italiano in America, in cui il benzinaio di Viterbo Giuseppe Marossi arriva negli USA per partecipare alla trasmissione televisiva e, dopo essersi misurato con il sogno americano, finisce per fare il benzinaio sul Mississippi.
Nel film di Giorgio Bianchi “Che tempi!” le scene girate in Argentina non ci sono, ma Alberto Sordi fa tesoro delle sue capacità linguistiche e rende il personaggio davvero sudamericano nel modo di parlare e nella mentalità. È parte l’avventura di un Sordi straniero in Italia o italiano all’estero, emigrato, che non si trasforma mai abbastanza per diventare un altro da sé. Alberto Sordi costruisce i suoi personaggi cogliendone i risvolti ironici e farseschi e giocandoci non poco come attore comico.
Nel film di Francesco Rosi “I Magliari” Sordi gestisce bene la sottile linea che passa fra la drammaticità e la comicità di tutto ciò che accade nella storia. Vengono raccontate faide fra i clan dei malavitosi italiani e polacchi nella Germania occidentale, e Sordi interpreta un boss che si mette in proprio, ma non ce la fa ad elevarsi a un vero capozona. Rosi lo desidera denunciare mettendolo in ridicolo, e ci riesce perfettamente scegliendo Sordi come interprete.
Un altro regista del cinema d’impegno civile che sceglie Sordi per protagonista è Ettore Scola quando gira Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”
Il film presenta l’Africa come un luogo esotico, ma ostile. Ciò viene contestato all’unisono dai cinefili angolani. La pellicola fu girata in Angola, ripercorrendone quasi tutto il vasto territorio, ma non fa alcuna menzione né dell’Angola né dei suoi luoghi. Viene contestata anche la mise che usa Alberto Sordi nella capitale, Luanda: potrebbe andare bene per il safari, ma in città sarebbe fuori luogo. Ma che ne sanno gli spettatori al di fuori dell’Angola!
Nel film Brevi amori a Palma di Majorca Alberto Sordi ha il compito di fare un personaggio divertente sullo sfondo di un quadro realistico degli italiani vacanzieri alle Baleari. Albertone è alle prese con il personaggio dello zoppo Anselmo Pandolfini che, attraversando la scena in un modo indimenticabile, sconfigge la noia del quotidiano e scombussola la vita di chi gli sta attorno.
Alberto Sordi si scontrerà con una mentalità diversa perché straniera in altri due film: Il diavolo di Gianluigi Polidoro e Fumo di Londra con cui farà il suo debutto nella regia (nella distribuzione internazionale la pellicola è nota con due titoli: “Smoke over London” e “Thank you very much”). In Svezia dove è ambientato il film di Polidoro, il personaggio di Sordi affronterà la disponibilità (apparente) delle donne che si rivelerà un luogo comune e non un fatto vero. A Londra sarà esterrefatto di scoprire come si presenta da vicino l’aristocrazia britannica che aveva idolatrato dall’Italia. L’alta borghesia inglese non fa che trafficare oggetti d’arte ed imporre le proprie opinioni alle classi popolari che non vogliono darsi per vinte. E Londra diventa un luogo delle lotte che, in chiave ironica, sembreranno risse, tafferugli, battibecchi. È una Londra dello swing, dei Beatles, della libertà sessuale e dei movimenti rivoluzionari dei giovani. Ed è una Londra di cui il personaggio di Sordi si deluderà, ma che abbandonerà, comunque, a malincuore.
Un italiano all’estero è un’immagine che Albertone continua a curare e ripropone in “Un italiano in America” nel 1967. Il film si regge sulle grandi interpretazioni – di Sordi e di Vittorio De Sica, svela la falsità dei programmi televisivi, ironizza sul sogno americano e sull’emigrante che spera di cambiare vita, ma, in fondo, cambia solo ambientazione.
E la domanda sorge spontanea: Alberto Sordi era davvero un sostenitore degli Stati Uniti? Sicuramente, era affascinato da Hollywood, dal progresso e dallo sviluppo raggiunti dalla società americana. Ci sono filmati del 1962 in cui è entusiasta di recarsi negli USA e intende incontrare personalmente il Presidente John Fitzgerald Kennedy. Esisteva un progetto cinematografico del 1975 intitolato “Il mio amico Henry” scritto da Alberto Sordi, Sergio Amidei, Age e Scarpelli, che Albertone intendeva dirigere. Si prospettava che Sordi interpretasse il segretario di stato Henry Kissinger. In effetti, Albertone assomigliava a Kissinger resta incerta l’eventuale conoscenza personale fra lo statista americano e l’artista italiano. Ma i fatti parlano chiaro. Al Festival di Cannes del 1975 viene annunciata la preparazione del film. La voce arriva a Kissinger che, attraverso le sue conoscenze nello showbiz italiano, fa capire ad Alberto Sordi che è contrario alla sua realizzazione, e il film non si fa. Lo rammenta in un suo saggio lo storico dei media Luca Martera. È molto probabile che Kissinger non avesse gradito la chiave grottesca che Sordi avrebbe dato ailla politica estera degli Stati Uniti, soprattutto nei confronti dei paesi africani e latinoamericani. Da un vero grande artista comico, Alberto Sordi riusciva a scherzare sugli argomenti più scottanti e sulle personalità meno sospette, e ciò lo rendeva interessante per il pubblico e pericoloso per il potere.
In quali paesi ha girato i film Alberto Sordi, oltre che negli Stati Uniti (dove gira “Un italiano in America” nel 1967 e torna vent’anni dopo per girare “Un’ tassinaro a New York”), l’Australia dichiarata nel lungo titolo e il Regno Unito di cui abbiamo già parlato (“Fumo di Londra”)? Le riprese dei film “I Magliari” di Rosi si svolgono in Germania, fra Hannover e Amburgo. “Il testimone” è ambientato e girato fra Roma e la Francia (Parigi, Reims, Taissy). Il film “Costa Azzurra” viene girato in Francia nelle località di mare, nella distribuzione francese il film si intitola “Cote d’Azur”, anche se il titolo inglese è “Wild Cats on the Beach” (“I gatti selvaggi sulla spiaggia”) e quello tedesco “Zweimal Riviera and Zurueck” (“Due volte Riviera e ritorno”).
Il film “Detenuto in attesa di giudizio” (1971) di Nanni Loy è per Sordi una rara occasione di misurarsi con un personaggio drammatico, vittima di una vicenda giudiziaria montata sul nulla, come ne “Il processo” di Kafka. L’idea del film viene al Sordi stesso dopo la lettura del diario di Lelio Luttazzi intitolato “Operazione Montecristo”. Per questo film Albertone si aggiudica il David di Donatello e l’Orso d’argento come il miglior attore al Festival di Berlino. Le riprese della pellicola hanno luogo in Italia, nelle carceri di Regina Cieli e San Vittore, nonché nella città di Nacka in Svezia.
Sordi è un personaggio talmente immenso che lo scopriamo e riscopriamo ancora, dopo il centenario della nascita. C’è ancora un film, “Lo scocciatore” di Bianchini, con Alberto Sordi e Peppino De Filippo, considerato per tanto tempo “perduto”, che è stato ritrovato nella Cineteca di Bologna del 2003. Ci sono ancora tanti fatti che del famoso Albertone si conoscono meno o si ignorano del tutto.
Non tutti sanno, per esempio, che Alberto Sordi suonava professionalmente più strumenti compreso il mandolino, era iscritto alla SIAE come compositore melodista, ha partecipato a Sanremo con una sua canzone. Il Festival della canzone italiana ha visto Alberto Sordi far parte della Super giuria, presentare il film “Io e Caterina” ed esibirsi come ospite con la sua canzone “E va’… e va’…” Fra gli ospiti di quell’anno (parliamo del 1981) c’erano Dire Straits, Barrie White e Charles Aznavour.
Non tutti sanno che Alberto Sordi ha partecipato al film kolossal “Scipione l’Africano”. Facendo comparse da giovanissimo, pensava ingenuamente che tutte le comparse erano lì non per il compenso, ma, come lui, per l’amore del cinema. L’amato cinema si è fatto attendere decenni, perché le prime esperienze di Alberto Sordi nello spettacolo sono state di doppiaggio (ha vinto il concorso per doppiare Oliver Hardy, il famoso Ollio) e di radio (anche con trasmissioni tutte sue quali “Parla Alberto Sordi). Il vero successo cinematografico arriva ad Alberto Sordi solo con l’Americano a Roma, dopo decine di pellicole in cui ha fatto numerosissimi personaggi, drammatici e comici, di rilievo e non, ma sempre creati bene e frutto della sua inesauribile vena creativa.
Secondo il sondaggio del 2004, Alberto Sordi, insieme a Leonardo Da Vinci e Silvio Berlusconi, sarebbe stato riconosciuto dagli italiani uno dei connazionali più creativi. Per creatività al top gli italiani intendevano allora un approccio particolare, un qualche “escamotage” che possa permettere all’uomo di fare nella vita ciò che desidera e, possibilmente, senza grandi sforzi.
Alberto Sordi è la quintessenza della romanità. È il Sindaco di Roma per il giorno del suo compleanno nel 2000. È un italiano conosciuto e amato in Italia all’estero. È un italiano che ha girato il mondo, ma ancora più di lui hanno viaggiato le opere cinematografiche che aveva interpretato e girato. Ed è un autore di cui gli italiani continuano a ripetere le battute – comiche, ironiche, farsesche – che si rivelano immortali.
Olga Matsyna