Un articolo eccellente sul sito archeologico di Serra del Cedro nell’agro di Tricarico da segnalare per studiosi del settore e per chi ama Tricarico pubblicato nella rivista Mathera.
Alessandra Del Prete è da anni molto legata a Tricarico da numerose iniziative culturali che la vedono protagonista.
Questa volta nella nota e importante rivista Mathera, riferimento di molti archeologi, da un saggio delle sue capacità scientifiche sul tema in un articolo che vi invito a leggere, cliccando sul link qui sopra.
–Di seguito una versione incompleta del saggio di Alessandra Del Prete —
Il sito archeologico di Serra del Cedro di Tricarico, in provincia Matera
di Alessandra Del Prete
L’uva puttanella
«…Il paese è vuoto e se alzi gli occhi,
l’aria ti prende, hai voglia di goderla,
di riempirla di te, quella ti prende nelle braccia sue
e si sentono le nenie che hai già sentito,
esclamano le stesse vacche di Serra del Cedro,
ritornano i giorni passati con fatti che successero
e le tinte di allora, i luoghi, la vigna».
Rocco Scotellaro 1955
La regione Basilicata è un’area ricca di storia millenaria nel cuore della Magna Grecia,
frequentata nella diacronia dalla Preistoria all’età moderna (fig. 1).
Il segmento geo-topografico discusso in questo contributo occupa un’ampia area situata a est
del centro abitato moderno di Tricarico, che si erge a 698 metri sul livello del mare. Questa
posizione strategica domina un territorio caratterizzato da sorgenti e aree boschive,
controllando i bacini idrografici del Bradano e del Basento. Fin dall’antichità, questa regione
è stata particolarmente adatta all’insediamento umano.
La storia antica di questo territorio è soprattutto nota per le fasi di età greca, quando fu sede
di importanti abitati sviluppatisi grazie all’arrivo e stanziamento di genti di stirpe osco-
sannita. Già nel corso del V sec. a.C. i Lucani scelsero spazi di difficile accesso, interni al
territorio, promuovendo la nascita di centri d’altura fortificati a controllo e difesa delle aree
di interesse, lungo le due principali arterie fluviali della regione. La ricerca archeologica nel
territorio di Tricarico, ha restituito alla collettività i vicini abitati fortificati di “Serra del
Cedro” e di “Civita” accomunati da una crescita insediativa particolarmente vivida tra i secoli
IV e inizi III a.C. al pari dei non lontani ed altrettanto documentati centri di Croccia-
Cognato e Serra di Vaglio. La loro posizione politico-amministrativa e topografica, ben si
inseriva lungo uno dei crocevia privilegiati e di controllo sui percorsi pedestri e fluviali che,
dalla costa ionica abitata da coloni greci, raggiungeva l’interno del territorio alla volta dei siti
di confine di area Dauna da un lato, ed etrusco campana dall’altro (Saracino 2015, pp. 45-46).
Nel territorio di Tricarico sono state identificate occupazioni di abitazioni rurali anche di
notevoli dimensioni quali grandi ville delle località di Calle, S. Agata, Malcanale, S. Felpo e S.
Martino che presentano una continuità di vita dal IV sec. a.C. al IV -V sec. d.C. (Colicelli
2012, p. 175).
Il primo insediamento indigeno di Tricarico: Serra del Cedro
L’area archeologica di Serra del Cedro (m 858 s.l.m.), a circa 2 Km a Nord Est di Tricarico
(fig. 2), è un sito molto vasto in loc. Tempa dell’Altare, inserito in un ambiente naturale di
particolare valenza, ricco di sorgenti naturali, situato su una collina dell’alto Materano, in
posizione simmetrica rispetto alla collina della “Civita”, sede di un altro importante
insediamento di età greca con cui condivide le vicende della fase Lucana. La frequentazione
antropica sull’altura è attestata già in età arcaica (VI-V sec. a.C.) con alcuni nuclei di sepolture
ma, il periodo di maggior estensione si registra tra i secoli IV- inizi III a.C., quando il centro
è difeso da una doppia cinta di fortificazione realizzata in blocchi squadrati di grandi
dimensioni tenuti a secco. La vita a Serra del Cedro perdura sino al periodo romano-
repubblicano. (Lattanzi 1976, p. 149).
L’esplorazione archeologica del sito ha contribuito alla conoscenza dello sviluppo
planimetrico delle mura organizzate in una cortina esterna sviluppata intorno ad un
perimetro di ca. 3 Km e una interna a difesa dell’acropoli sulla sommità di Tempa dell’Altare.
Una superficie di 60 ettari ha restituito i settori di accesso aperti nella fortificazione, diverse
strutture abitative conservatesi in fondazione e un’area artigianale. Lungo le pendici
dell’altura si distribuisce invece una ampia area a destinazione funeraria con sepolture databili
tra VI e IV sec. a.C. Ad oggi, i risultati della ricerca archeologica condotta nel luogo hanno
evidenziato una forte rarefazione delle evidenze nel corso del III sec. a.C., verosimilmente
relazionabile con la fase di conquista da parte dei romani delle aree interne della regione
seguita alla presa di Taranto nel 272 a.C.
Gli scavi archeologici a Serra del Cedro
Lungo le pendici meridionali dell’altura su cui insiste il sito è stata individuata e indagata a più
riprese una vasta area abitativa chiusa da mura di difesa, con relativo nucleo di necropoli
extra moenia, databili grazie ai reperti archeologici di riferimento fra il VI e IV sec. (fig. 3) Il
sito registra un periodo di particolare vitalità tra i secoli IV e III sec. a.C. Un grosso
contributo alla ricerca archeologica nel sito è stato certamente fornito, sul finire degli anni
Ottanta del secolo scorso, dalle campagne di scavo nei due centri di Serra del Cedro e Civita
promosse in collaborazione con gli organi di Soprintendenza lucana, dalla Scuola francese di
Roma che, in collaborazione con il Centro Jean Bèrard, il CNRS e diverse università francesi,
ha avviato un programma sugli agglomerati lucani incentrato su Tricarico protrattosi sino a
qualche decennio fa, sotto la direzione di Olivier de Cazanove (Università di Parigi I,
Panthèon-Sorbonne), ad oggi insignito della nomina di ‘cittadino onorario’ di Tricarico
(Patrone, pp. 125-126).
Nel 1986 in occasione di lavori di scavo per la realizzazione di una rete del metano a ridosso
dell’area occupata dal sito, internamente alle due cinte di difesa sono infatti emersi resti di
strutture murarie e di fornaci mentre, sulla più meridionale delle tre collinette che disegnano
topograficamente il luogo, è stata riportata in luce la necropoli. La presenza sulla collina in
località San Felpo di un’area funeraria, (Colicelli 2012, pp. 174-175), era già nota grazie alle
prime scoperte della prima metà del 1900 rese note da C. Valente (1949, NSc, p. 126 ss.) e, le
più recenti indagini negli anni Novanta del secolo scorso e nei primi anni Duemila, hanno
registrato nuovi dati sulle caratteristiche delle strutture funerarie, rappresentate da tombe a
fossa terragna con inumati accompagnati da ricchi corredi vascolari e armi. Il rito della
deposizione è duplice con defunti sepolti in posizione rannicchiata nelle strutture attribuite
alla fase di Età arcaica e supina nelle strutture di cronologia più recente.
Tra i ritrovamenti di maggiore rilevanza figurano i reperti delle adiacenti Tombe 60 e 61 –
risalenti agli inizi del IV secolo a.C. – scoperte durante le indagini archeologiche del 1994 e
promosse dall’allora direzione del Museo Archeologico Nazionale “D. Ridola” di Matera
(Bottini, 2011, p.5). Delle due tombe è stato redatto un «giornale di scavo con molta precisione dalla
Caravelli che seguiva i lavori in loco; grazie ad esso, siamo dunque in grado di ricostruire la situazione anche
per quanto riguarda i manufatti perduti» (Bottini 2011, p. 6). Entrambe le tombe presentano
strutture a fossa semplice di notevoli dimensioni (240 x 130 centimetri, con una profondità
di 340 centimetri) e, nonostante siano state parzialmente saccheggiate, hanno restituito
importanti elementi del corredo funerario originale, attribuito dagli studiosi a una coppia di
elevato status sociale.
La tomba 60, ospita in particolare un personaggio femminile deposto in posizione supina, a
giudicare dalla conservazione in situ degli arti inferiori. Tra gli oggetti del corredo, una parure
costituita da fibule in ferro e in argento (fig. 4), vaghi in oro sulla nuca e dei ferma trecce per
adornare l’acconciatura.
Tra i manufatti di maggior pregio, oltre ad alcuni vasi a figure rosse, una oinochoe in pasta di
vetro e una pisside, si segnala una rara placca in ambra figurata (V sec. a.C.) sul fianco sinistro
dell’inumata (fig. 5), quale pendente da una cintura, rappresentante secondo gli studiosi, un
richiamo al culto misterico di valenza salvifica con la scena di Kephalos che viene rapito da
Eos alata. Tuttavia, l’assenza delle ali e l’infante che appoggia la mano sinistra sul seno, fanno
pensare più ad una figura di dea kourotrophos, figura femminile colta nella funzione materna
(Bottini 2012, pp. 5-14; Russo 2005, p. 126 sgg.).
Il manufatto esposto presso il centro espositivo di Palazzo Ducale a Tricarico, ci viene così
descritto da A. Bottini: «Sulla faccia anteriore è stata intagliata figura femminile stante, ottenuta a rilievo
poco profondo, panneggiata con chitone ed himation; sorregge sul fianco, cingendo con la destra la spalla, un
personaggio maschile di aspetto giovanile ma di taglia non di molto minore, probabilmente nudo, con la testa
reclinata ma non poggiata direttamente. Sulla faccia posteriore, lavorata in modo più sommario, il braccio si
confonde con un elemento longitudinale in cui corre un foro di sospensione, ed il corpo maschile si presenta
avvolto in lembo del mantello che si apre da quello femminile, interrotto da una larga fascia piatta» (2011,
p. 14).
Per quanto riguarda la Tomba 61, la composizione del corredo rimanda ad un personaggio
maschile di spicco all’interno della comunità, forse un guerriero. La deposizione è supina ed
ha restituito sia armi quali una spada, cuspidi di armi lunghe, sia un morso di cavallo in ferro
e infine manufatti in ceramica (Bottini 2011, p. 6).
Le più recenti campagne di scavo archeologico a Serra del Cedro, sono state promosse tra il
2014 e il 2016. I dati emersi hanno rinnovato l’interesse per la storia del luogo con una serie
di rinvenimenti tra cui i resti della cosiddetta “casa alpha”, (fig. 6) una nuova struttura a
pastas, ovvero dotata di un portico in facciata sul quale si aprono due o più ambienti
dell’abitazione (Bourdin, De Cazanove, Chapelin 2018). La casa si estende su una superficie
di 220 metri quadrati, presentando un’imponente soglia realizzata in arenaria e una colonna
dorica al centro, simile a quelle ritrovate nell’antico insediamento di Civita, la cui presenza,
restituisce nuove dati sulla presenza di planimetrie evolute per dimore in contesti indigeni
(De Cazanove 2017, p. 22).
Le indagini più recenti condotte nel sito risalgono al 2019 e al 2020 – periodo in cui l’equipe
francese, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della
Basilicata – ha ripreso gli scavi a Civita. Durante tali lavori, sono stati riportati alla luce nuclei
di necropoli lungo le pendici sud-occidentali del monte Serra del Cedro, nonché resti
dell’imponente fortificazione e di un santuario risalente al IV e III secolo a.C., dedicato a una
divinità maschile guerriera.
Nel 2020, nonostante la crisi sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19, le campagne di
scavo a Serra del Cedro e Civita di Tricarico sono proseguite regolarmente nell’ambito del
programma Ignobilia oppida Lucanorum/Le rocche senza fama dei Lucani. (fig. 7) Questi ricercatori
hanno avuto come principale obiettivo, quello di comprendere l’organizzazione territoriale di
questi distretti situati nel cuore dell’entroterra lucano con le sue reti di agglomerazioni
fortificate, di luoghi di culto dei siti minori (Serra del Cedro, tombe SDC 1-201 O. de
Cazanove). Durante le “Giornate europee dell’archeologia 2023”, svoltosi il 17 giugno 2023,
la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggi della Basilicata ha aperto, come ogni
anno, il sito archeologico di Civita di Tricarico per una visita guidata guidata da Oliviere de
Cazanove. Durante l’evento, sono emerse alcune nuove scoperte relative alle prospezioni
geofisiche del 2019, che hanno evidenziato l’esistenza di una rete viaria con strade parallele e
perpendicolari nel settore dell’acropoli. Alcuni di questi assi sono stati esplorati in occasione
di saggi mirati nel 2002 e nel 2023 che hanno permesso tra l’altro di osservare con maggior
dettaglio lo schema urbanistico degli isolati e, in particolare, della tipologia edilizia delle case
di cronologia più recente, datate in base ai reperti rinvenuti, alla seconda metà del II sec. a.C.
(fig. 8)
Ipotesi sull’origine del nome “Serra del Cedro”
Tra i due siti archeologici di Serra del Cedro e Civita, si trova la città di Tricarico nota come
città arabo-normanna. Il suo centro storico si sviluppa in un perfetto schema ‘a fuso’ tipico
delle città medioevali realizzate sui colli, con i quartieri in stile moresco di Ràbata e Saracena,
i quartieri di Civita, Monte e Piano. All’interno dell’attuale perimetro della città sono presenti
testimonianze archeologiche datate al VI e V secolo a.C. (ritrovamenti nel rione dei
Cappuccini, presso il cinquecentesco monastero di Santa Maria delle Grazie), ma le prime
notizie documentate della sua esistenza, risalgono all’epoca dei longobardi, con la presenza di
una cittadella fortificata attestata nell’ 849. Il primo documento che certifica l’esistenza della
cittadina è una Convenzione dell’anno 849 tra Schinolfo Principe di Salerno e Redalgiso
Duca di Benevento, quando il paese è incluso nel gastaldato di Salerno che gravitava
nell’orbita longobarda (Dell’Aquila 2022). Nel 968 Tricarico è documentata per la prima
volta come sede vescovile Bizantina e per circa 500 anni questo luogo diventa un esempio
virtuoso di incontro e di dialogo tra culture e religioni diverse (MuDiT 2022). Con
l’occupazione normanna, Tricarico diventa contea della famiglia dei Sanseverino dal 1048 al
1606 che allargavano il loro dominio dalla Calabria (Bisignano). Tra il 1400 e il 1600 si
registra la presenza di una consistente comunità ebraica e poi di una comunità albanese
grazie alla presenza di Irina Castriota Scandeberg, moglie del Principe Sanseverino e nipote
dell’eroe albanese Giorgio Castriota Scandeberg. La sua importanza nel XVII è testimoniata
dalla menzione di unica città lucana, nella raccolta di stampe e vedute del Theatrum urbium
praeciparum mundi di George Braun e Franz Hogenberg, pubblicata a Colonia tra il 1572 e
il 1618 (fig. 9); Braun, Hogenberg 1618, tav. 57). La stampa di Tricarico è del 1605. Sul retro
della veduta Tricaricum Basilicatae Civitas del 1605 contenuta nella raccolta Theatrum urbium
praeciparum mundi ( Braun, Hogenberg 1618, tav. 57 retro) è descritta la città (fig. 10).
Dopo i Sanseverino, Tricarico diventa di proprietà dei Pignatelli e i Ferraro sino al 1631.
Infine dal Seicento agli anni Venti del Novecento, i duchi di Revertera hanno posseduto
buona parte dell’agro di Tricarico e di alcuni paesi del medio Basento.
Nel 2018 durante una escursione a Serra del Cedro, dopo essere partita da un vecchio
Tratturello Regio Tricarico-Grassano in località Fornacio e percorso un sentiero sterrato in salita
attraverso dei prati, costeggiando un’area archeologica riconoscibile dalla presenza di
geotessile a copertura delle strutture indagate (fig.11), raggiunta la sommità di Serra del
Cedro, detta U tupp a Serr, mi sono imbattuta nella figura di un enorme toro nero che
riposava adagiato sulle sue zampe, figura mitologica di vero custode di questo territorio
sacro, così come raffigurato nello stemma ufficiale di Tricarico (fig. 12).
Dalla sommità della collina il panorama è davvero spettacolare; Tricarico si pone al centro
tra l’Appennino lucano con le foreste di querce e cerri, terreni coltivati e le colline del
Bradano. Si possono vedere a sinistra le creste delle piccole dolomiti Lucane con la foresta di
Gallipoli Cognato, e a destra il Monte Vulture e, volgendo lo sguardo a meridione, le basse
colline di Irsina e del materano con l’altopiano dell’Alta Murgia barese.
A ritroso di questa esperienza ho approfondito gli studi sul culto del toro nel Mediterraneo
antico, considerato animale divino e sacro da quasi tutte le culture dell’antichità nonché
simbolo associato alla Luna, alle costellazioni, alla fertilità, alla rinascita e al potere dei Re.
Sulla porta d’ingresso del Convento di Sant’Antonio di Padova è apposta una effige in pietra
del 1491 che rappresenta un toro su tre colli, con la caratteristica sagoma di Serra del Cedro e
le sue tre cime, tempa d’Autara, Giumentara e Boccaglia, che rende molto suggestiva
l’associazione tra la scelta iconografica dello stemma della cittadina come discendenza
dall’antico insediamento a Serra del Cedro (fig. 13).
Il toponimo “Serra del Cedro” evoca immediatamente l’antico agrume dal nome israelitico,
una pianta dalle radici antichissime conosciuta già 4000 anni fa in Mesopotamia ed Egitto. La
coltivazione di questo agrume fu diffusa dagli ebrei inizialmente in Palestina e
successivamente nelle regioni dove furono costretti ad emigrare. Questa pratica agricola, che
oggi non è più presente nel territorio di Tricarico, si diffuse dapprima in Grecia intorno al V
secolo a.C. insieme ai profughi provenienti dalle regioni assire, per poi estendersi in Turchia,
in Albania e raggiungere l’Occidente durante i movimenti migratori delle popolazioni greche
nei secoli successivi. Il cedro fu il primo frutto a giungere in Italia intorno al III sec. a. C.
tramite gli ebrei ellenizzati che avevano seguito gli Achei, fondatori delle colonie agricole
della cd. Magna Grecia di Metaponto, Sibari e Crotone sullo Ionio, di Laos e Poseidonia sul
Tirreno (Anpacalabria.it, 2015).
Nonostante la storia instradi verso questa associazione, varianti nella toponomastica che
attualmente identifica il sito sulla cartografia I.G.M., indicano come la parola “Serra”
potrebbe essere verosimilmente l’esito di un mutamento del nome “Sierra” riferito ad un
crinale scosceso e roccioso e, la parola “Cedro”, il mutamento del nome “cerro” albero
appartenente alla famiglia delle querce (fig. 14-15).
Conclusioni
L’esame non esaustivo dei dati presentati sulla base della documentazione edita sulla ricerca
archeologica nel sito di Serra del Cedro, restituisce l’idea di un centro di età antica,
particolarmente sviluppato in età Ellenistica, dotato di una vitalità socio-economica basata
sull’azienda agricola a conduzione familiare, organizzato anche in micro-strutture produttive
autonome, intorno al luogo di residenza del proprietario. Un luogo che ci si augura venga
sottoposto alla corretta attività di valorizzazione e reso fruibile alla collettività.
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