“GUERRA IN UCRAINA”,

LIBRO di autori vari

 

Il libro di autori vari intitolato “Guerra in Ucraina: cause, conseguenze, retroscena” è una nuova pubblicazione di “Sandro Teti Editore”. È un’opera di un’attenta e accurata analisi della storia e dei presupposti che hanno portato alla situazione attuale.Tra gli autori figurano personaggi di rilievo come Alberto Bradanini, Fabio Mini il generale della NATO, Umberto Vattani l’ambasciatore.

 

È un libro che aspira ad oggettività e cerca di raggiungerla perfino nella traslitterazione. Come è noto, l’ucraino e il russo sono le lingue che usano l’alfabeto cirillico, per cui, per  trascrivere

 

i toponimi (nomi di luoghi), usando l’alfabeto latino, vengono a crearsi, in italiano, due grafie (Kiev – grafia russa, Kyiv – grafia ucraina). La pubblicazione è precisa nel diffondere in Occidente la grafia ucraina dei toponimi ucraini. Tranne che per i toponimi di Kyiv e Donbas (che erroneamente trascrive alla russa in ogni caso).

 

La curatrice del volume, Elisabetta Burba, insiste sulla natura caleidoscopica dell’opera: ognuno degli analisti di diversa estrazione politica dice la sua sugli eventi, e varie visioni dovrebbero comporre un mosaico nella mente del lettore. Nel puzzle tutto dovrebbe andare ad incastro. Se veramente è questo l’effetto della lettura del compendio, spetta al lettore scoprirlo.

 

 

L’analisi parte dall’illustrazione dei confini dell’Ucraina sul mappamondo, dal 1918 ad oggi, con l’acquisizione e/o la perdita dei territori. Segue una mappa che lascia molto più spazio a discussioni perché cerca di dividere le terre dell’Ucraina che risalgono all’indipendenza postsovietica (1991) in zone di “ucraini etnici”, “russi etnici” e di “maggioranza russofona”. Proprio questi dati (e le dinamiche della guerra lo mostrano appieno) sono labili: non sono pochi i casi in cui perfino i “russi etnici” o i “russofoni” passano alla lingua ucraina perché è lì che, oggi, ritrovano le tracce della propria identità nazionale.

 

L’espansione della NATO dal 1949 al 2019 e l’entrata nel blocco dei paesi dell’Europa orientale costituisce la

 

pagina successiva che è, a sua volta, il prodromo dell’intervento di Fabio Mini che, conoscendo la NATO da dentro, si concentra sulla sua essenza militarista (la nascita sei anni prima del Patto di Varsavia, la sopravvivenza e una nuova vitalità a partire dal crollo dell’URSS e dalla cessazione della minaccia sovietica). La burocrazia all’interno farebbe della NATO un ente incapace non solo di difendere militarmente un paese membro, ma anche e soprattutto  di prevenire i disastri come la crisi balcanica, – sostiene Mini. Quest’:autore rivela ciò che era in previsione da parte della NATO e del Patto di Varsavia: l’URSS non prevedeva l’attacco, ma si aspettava di essere attaccata e si sarebbe difesa in Cecoslovacchia e Germania orientale cercando di deviare le azioni belliche dalla direttrice Kyiv-

 

Bielorussia-Polonia  verso l’Italia e il Mediterraneo dall’Ucraina e Ungheria passando attraverso l’Austria e la Jugoslavia. La NATO avrebbe cercato di impedire l’aggiramento impiegando armi convenzionali e nucleari in Polonia e in Italia (Udine). Tale scenario è stato evitato per il timore di entrambe le parti di un’escalation e di una terza guerra mondiale. F.Mini è critico bei confronti del blocco transatlantico asserendo che in Jugoslavia è intervenuto con cinque (se non dieci) anni di ritardo, e gli interventi nel Medio Oriente sarebbero stati del tutto criminali (rispondere con una guerra USA/NATO a un caso di terrorismo (Torri gemelle) sarebbe stato non solo esagerato, ma illegale). Dal crollo dell’URSS, sostiene Mini, – la NATO avrebbe volutamente perso l’occasione di trasformarsi da un blocco di difesa a

 

quello della comune sicurezza. I tentativi ci sarebbero stati, come l’entrata nella “Partnership for peace” della Russia e dell’Ucraina nel 1997. Ma l’occasione è eclissata per l’ostilità dei membri NATO russofoni (Gran Bretagna) e la sfiducia nei confronti di Mosca da parte dei paesi ex URSS. Non meno decisivi sarebbero stati tali fattori come la struttura della NATO che non permette flessibilità e la mancanza di volontà politica negli Stati membri.

 

Fabio Mini cita un documento della NATO che risale al 1999: Direttiva politica generale (Cpg, Comprehensive Political Guidance) e le sue modifiche del 2006. Ed è lì, per lui, che si nasconderebbero le ragioni della precipitazione della situazione verso una guerra in corso. In seguito a questi

 

documenti, la NATO si sarebbe trasformata in una società per azioni statunitense con interessi piuttosto economici. Dal 2010 al 2020 gli USA avrebbero investito nella destabilizzazione dell’Ucraina. Mini ricorda anche il libro di Gene Sharp “From dictatorship to democracy” che sarebbe stato impiegato come istruzioni d’uso in Jugoslavia, nel Myanmar, in Ucraina. Menziona l’influenza di Robert Helvey, colonnello della fanteria statunitense. Cita altresì due enti che avrebbero finanziato la dissidenza: NED (National Endowment for democracy) e USaid. Nomina fra le organizzazioni finanziatrici di movimenti per l’indipendenza di vari paesi l’IRI (International Republican Institute). Poi passa a considerare le rivoluzioni colorate, in particolare, la Rivoluzione

 

arancione ucraina (2004) sostenendo che avrebbe dato origine al primo governo “nazifascista” ucraino. E, in un totale accordo con la narrazione filorussa, afferma che la volontà dell’Ucraina e della Georgia di entrare nella NATO avrebbe provocato l’invasione della Georgia nel 2008. La NATO non è intervenuta, ecco perché, dice l’autore del saggio, l’intervento sarebbe riuscito (la Georgia ha perso alcuni dei suoi territori). Fabio Mini vede la causa dell’invasione russa in Ucraina gli accordi stilati a novembre 2021 fra l’Ucraina e gli USA che facevano riferimento alla risoluzione del Consiglio della sicurezza dell’Ucraina e alla piattaforma Crimea. Secondo l’autore del saggio, le forze estremiste ucraine controllerebbero Volodymyr Zelensky e l’avrebbero minacciato di morte dopo le

 

elezioni (2019) e dopo l’invasione (2022). Nell’accordo ci sarebbe la “ri-occupazione” della Crimea e del Donbass (ovvero, la de-occupazione dei territori che appartengono all’Ucraina dopo il crollo dell’URSS).

 

Luciano Canfora nel suo intervento non parla né di cause né di conseguenze né tantomeno di retroscena della guerra in Ucraina. Parla di parecchie incongruenze del mondo occidentale, delle sue ipiocrisie. Cita Tacito che riferisce le parole di un britannico ai tempi della conquista delle isole britanniche da parte dell’impero romano: “I romani, dove lasciano dopo di sé il deserto, lo chiamano pace”. Cita le aziobeli della democratica Svezia che pratica estradizione dei curdi a Erdogan. Cita Marquez che introduce, al lato del

 

fondamentalismo islamico, il concetto di  fondamentalismo democratico ricordando Julian AAssange come una sua vittima. Ricorda il libro “Metodo Giacarta” di Vincent Bevins in cui si racconta l’eliminazione dei comunisti. Tuttavia, Canfora non giustifica Putin, anzi, lo incolpa di aver modificato ad hoc la Costituzione e la legge elettorale, così come è legalmente previsto, non sarebbe mai stato rieletto.

 

Franco Cardini offre un contributo storico, proponendo la versione delle tribù slave imparentate originalmente con i veneti. Cardini parla dell’origine della scrittura cirillica, della cristianizzazione degli slavi, di tutta la storia che arriva al Medioevo con le invasioni dei mongolo tartari dell’Orda d’oro.

 

 

Elisabetta Burba analizza le sorti della chiesa ortodossa ucraina. La chiesa si è spaccata in due, fra coloro che continuano a seguire il patriarca di Mosca e coloro che seguono, invece, il pariarca di Cistantinopoli. La chiesa ortodossa ucraina era unità a quella russa dal 1658 (dalla fine dell’Hetamanato (stato) ucraino.

 

Paolo Calzini esamina il decennio 2004-2014 nella storia dell’Ucraina, mettendo in dubbio la legittimità della Rivoluzione d’arancio r della Rivoluzione della dignità.

 

Gian Micalessin racconta le verità nascoste di piazza Maidan. È convinto che nel 2014 sarebbero mancate le modifiche alla costituzione ucraina al

 

fine di riconoscere l’indipendenza delle regioni di Donetsk e Luhansk.

 

Moni Ovadıa, famoso esponente della cultura, parla di un’identità doppia dei russi etnici che vivono in Ucraina, paragonandoli alla diaspora ebraica che assume sempre, ovunque essa abiti, oltre all’identità propria anche quella del luogo. Nel suo intervento intitolato “I guasti identitari della peste nazionalista”, egli si concentra sulle sorti degli ebrei e ricorda lo sterminio di 100.000 persone di origine ebraica da parte di Bogdan Khmelnytsky. Ricorda i nomi dei grandi maestri mistici (rabbi), tra cui il “Kafka del pensiero khassidico” Nachman di Bratzlav. Moni Ovadıa insiste sull’assenza di ucraino come lingua nella località come Odessa, ricordando il suo folklore: opere di Isaak

 

Babel e le gesta di Mishka Yaponchik (Mojshe Vinnickij) raccontate da Leonid Utesov (Lazar Vajsbejn). Ovadıa ricorda 250.000 collaborazionisti ucraini che avrebbero, insieme alle SS, massacrato ebrei durante la Seconda guerra mondiale e accusa il presidente ucraino di glorificate Bandiera e Petljura, colpevoli di stermini di ebrei, nonché di adottare ancora oggi un simbolo che assomiglia alla svastica (simbolo del Battaglione Azov).

 

Maurizio Carta analizza i fatti dal 2013 al 2015, da Maidan a Minsk 2. Lo fa anch’egli, schierandosi totalmente dalla parte russa un quanto sostiene che dopo la Rivoluzione della dignità Putin e Merkel avrebbero deciso di non privare l”Ucraina della sua integrità territoriale.

 

Elisabetta Burba fa un altro intervento affermando la presenza di un “ipernazionalusmo” in Ucraina, di nuovo citando la svastica del Battaglione Azov. Si pone l’obiettivo di individuare i neonazisti in Ucraina e di analizzarne le azioni. Lì trova in Azov e nei partiti politici di Pravy Sejtor, Svoboda, S14. Trova i pogrom contro rom, attacchi contro le femministe e i gruppi LGBT, divieti di libri in russo e la glorificazione sponsorizzata dallo stato dei collaboratori dei nazisti. Ad Azov si attribuiscono torture ed esecuzioni. Kolomoysky si accusa di aver finanziato il battaglione Azov e il massacro dei civili di Odessa bel 2014. Zelensky viene accusato della politica di nomine molto incaita (cambi frequenti delle persone responsabili come Artem Avakov).

 

 

L’ambasciatore Umberto Vattani si ricorda i tempi della distensione in cui l’Italia guidava un movimento europeo di unificazione e di apertura nei confronti dell’URSS.Ma già nel 1991, appena l’URSS crollò, Gorbacev si sentì dire da Bush: “I ritardi negli aiuti fanno bene. Non sai nuotare – lo impari! Gli aiuti arriveranno solo quando saranno strettamente necessari”, e così già trent’anni fa la distensione tornò ad essere un confronto.

 

Alberto Bradanini tratta il passaggio dalle grandi potenze al multipolarismo del mondo.Vattani è dispiaciuto di vedere un’Europa poco unità, spiegandolo con la sconfitta italiana e tedesca nella Seconda guerra mondiale con la successiva americanizzazione e marginalizzazione. Vattani vede la

 

ragione della guerra in Ucraina nel mancato scioglimento della NATO dopo la disgregazione del Patto di Varsavia E nella speranza di Putin di avere un sostegno da parte della Cina (20 giorni prima del 24 febbraio, il leader cinese gli aveva detto che i rapporti fra i loro due paesi non avrebbero avuto limiti). Ma la Cina, secondo Vattani, avrebbe solo gli interessi economici, e quelli che la legano agli USA e ai paesi della Comunità Europea, le sarebbero più cari  rispetto aglj interessi in Russia, da qui il tradimento economico, politico e militare. Vattani si augura un mondo con equilibri diversi. La globalizzazione in cui l’Occidente con l’USA mettevano a disposizione il capitale, la Cina una mano d’opera a basso costo e la Russia le materie prime sarebbe arrivato al capolinea.

 

 

Giacomo Gabellini propone un diario della crisi che parte dal 2015 e giunge ai giorni nostri. Nel 2015 l’Ucraina avrebbe ricevuto dal FMI un prestito di 17,5 miliardi di dollari, in cambio di tre posti nel governo che l’Ucraina avrebbe dovuto cedere a ministri stranieri scelti da società di consulenza nell’ambito del programma di International Renaissance Foundation finanziata da Soros. Nel 2016 la Russia rassoda i rapporti con la Cina, mentre gli USA cercano di isolare con le sanzioni la Russia (del 2014 che porta a tutto ciò non si fa alcun discorso). Nel 2017 gli USA iniziano a spedire in Europa il loro gas naturale per evitare la dipendenza europea dal gas russo. Nel 2018 Putin dichiara l’invenzione di armi di cui non ci sono ancora analoghi nel mondo. Gli

 

USA di Trump si ritirano unilateralmente dagli accordi Reagan Gorbacev per la riduzione delle armi nucleari. Nel 2019, da un’iniziativa di Poroshenko, nasce una chiesa autocefala ucraina. Nel 2019, Il 21 aprile, alle elezioni vince Zelensky e dichiara un nuovo corso (allontanamento degli oligarchi, nuove persone nel governo formatisi dopo i tempi sovietici all’estero). Sempre nel 2019 Trump introduce le sanzioni contro il Nord Stream 2. Nel 2020 gli USA si ritirano unilateralmente dall’Open Skies Treaty (sicurezza del cielo) a causa di sistematiche violazioni dell’accordo da parte della Federazione Russa. A fine 2020 il partito Servitore del popolo arriva al suo minimo storico di appoggi, e Zelensky cambia alcune cariche importanti e riprende i rapporti con gli oligarchi . Nel 2020 le elezioni

 

americane le vince Biden, e si circonda delle persone chiave per i rapporti preferenziali con l’Ucraina: Anthony Blinken dalle origini ucraine e la Nuland pro-ucraina. A febbraio del 2021 si dispiegano le forze armate ucraine  lungo la linea di contatto e l’esercito russo sulla frontiera con la Russia. Nelle regioni di Luhansk e Donetsk si riducono gli appoggi a Zelensky. Nel mese successivo del 2021 la NATO organizza le esercitazioni Defender Europe. A marzo Biden accusa Putin di essere intervenuto nelle elezioni USA cercando di fare vincere Trump. Il 24 marzo 2021 Zelensky definisce il recupero della Crimea come uno degli obiettivi prkncipali. Il diario è totalmente schierato dalla parte russa, tant”è che, parlando del 20 marzo (quando

 

l”Ucraina consolida tutti i mass media attorno ai canali di stato e “censura” i canali non progovernativi, non menziona nemmeno la legge adottata in Russia il 6 marzo sulle multe e incarcerazioni per “il discredito nei confronti dell’esercito russo” ovvero per una dichiarazione contro la guerra.

 

È un libro che si rivela un’occasione mancata di sentire pareri dei rappresentanti di entrambe le parti del conflitto. Gli interventi degli autori dei saggi sembrano disperati tentativi di discolpare lo stato russo dell’invasione presentando per le sue uniche ragioni gli eventuali probabili rischi della Russia derivanti dall’allargamento del blocco atlantico.

 

Olga Matsyna

 

per “Slash Arts”, Roma

 

#apropositodi #slasharts #apropositodi_byOlgaMatsyna #recensionelibro #recensioneoperadarte #recensioni #casaeditrice #guerrainucraina #guerradiinformazioni #supportUkraine #standwithUkraine #zeteam #Piulibripiuliberi #fieradellibro #fieradellibrodiRoma #saloneinternazionaledellibrodiTorino

Di gila

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *