A Lorena a Gianluca.
Grazie per avermi aiutato in tanti anni a crescere Greg, ad accudirlo, a curarlo, e infine a
lasciarlo andare quando è venuto il momento.
Non sapevo niente di cani quando, nel 2009, un trovatello di tre
anni è entrato nella nostra famiglia. Delle amiche di mia figlia
avevano raccolto, non so come, un cagnolino abbandonato (o
forse perduto), uno YorkshireToy, con tutta la grazia di una
bestiola raffinata e fiera, ma un po’ buffa nelle sue ridotte
dimensioni. Non era un buon momento per me: avevo dovuto
accettare una sede di lavoro lontana da Roma, dove avevo casa
e figlia universitaria, ed ero amareggiata e stanca ancor prima
di affrontare la prova. La Pet Therapy che le incaute donatrici
mi consigliavano mi pareva un dovere in più, un lusso, una
leggerezza, quasi una beffa del destino. Ma un giorno di
settembre il reietto ci fu portato a casa e “lasciato in prova”..e
non se ne andò più. La prima sera si rifugiò sotto il mio letto,
più spaventato di me; la seconda sera, lo trovai seduto sul
cuscino di sinistra ad attendermi per dormire, e quello è
rimasto il suo posto, il suo privilegio, fino all’ultima notte.
Ricordo che dovremmo tagliare, per toglierla, una brutta
pettorina in cui era cresciuto, e siccome aveva un anello di
ferro, pensammo che fosse stato tenuto alla catena: a guardia
di che, un cosino così piccolo? Che inutile crudeltà.
Da noi ben presto ebbe il suo corredino di collari e guinzagli,
ciotole e cucce, il suo libretto sanitario, il mio nome nel chip
sottopelle, un ciondolo al collo con il suo nuovo nome, Greg, e i
nostri numeri telefonici. Il suo pelo, che era stato tagliato
rozzamente, troppo corto, crebbe morbido e setoso nei tre
colori del tipo focato, biondo, argento e scuro; gli occhi, che
per l’infelicità sembravano piccoli e stupidi, si aprirono e
assunsero l’espressione languida ed amorevole del cane di casa.
Perché, da quella seconda sera, tra noi fu amore.
In breve, per 14 anni Greg ha diviso con noi gioie e feste,
occupazioni e preoccupazioni, e gli inevitabili cambiamenti
portati dal tempo. Con noi era premuroso e sempre
vagamente preoccupato, forse perché giudicava le nostre vite,
fatte di impegni , orari e uscite, troppo avventurose per i suoi
gusti casalinghi. A modo suo, ci ha insegnato la saggezza di
stare nel presente. Non fu mai giocoso e spensierato; i suoi
begli occhi restavano seri, e mi lanciavano sguardi di saggia
disapprovazione se io tentavo di forzarlo a scherzare. Solo
talvolta, in seguito a qualche processo mentale per noi
incomprensibile, accennava un sorriso, è il caso di dire, sotto i
baffi.
Potrei raccontare mille episodi della nostra vita in comune. La
tristezza lo prendeva quando vedeva una valigia, lo sgomento
quando capiva che qualcuno sarebbe partito senza di lui.
Quando tornavo di sera dai miei viaggi di lavoro, prima ancora
di accendere la luce nell’ingresso, sentivo le sue zampine lungo
la gamba che mi salutavano. Due anni dopo, come Dio e la P.A.
vollero, andai in pensione, e Greg mi aiutò nel periodo di
transizione verso una vita desiderata, ma anche temuta : per
fortuna la giornata era scandita dalle passeggiate, le pappe e le
ninne di Greg, che divenne anche l’accompagnatore perfetto
delle -ormai poche- occasioni sociali. Nonostante il carattere
schivo e riservato, aveva un tatto innato, che gli suggeriva di
proteggermi dagli estranei, guardandoli (e guardandosene) con
garbo a di poco principesco.
Imparai così che, nonostante l’impegno che comportava
portarlo con me, perché detestava i mezzi pubblici, nulla di
male poteva succedermi se c’era Greg, Così io, che non ho mai
emanato simpatia, ero accolta con una speciale benevolenza
dal prossimo in genere, grazie a lui.
Timido e galante con le femmine della sua specie, con cui non
andò mai oltre un casto bacetto, restò scapolo per l’incapacità
dei veterinari di trovargli una sposa. (Mi ricordava quei figli
unici di un tempo,che non si sposavano per non dare un
dispiacere alla mamma).
Convinto di doverci a tutti i costi difendere, nutriva feroci
antipatie verso i cani maschi del quartiere, che minacciava dal
balcone, fino alla zuffa sanguinosa con il Golden retriever della
casa di fronte, che, una domenica mattina di luglio, quasi lo
uccise. Ricordo la stretta al mio cuore, come se la zanna del
nemico si fosse affondato nel mio petto oltre che nel suo.
Ricordo il suo affanno all’unisono col mio, mentre lo portavamo
nella clinica veterinaria. E ricordo pure che dopo pochi giorni di
ricovero i dottori mi chiamarono perché gli dessi la pappa che
dalle loro mani rifiutava, e come, vedendomi, si levò sulle
zampine malferme, cosi piccolo nella celletta metallica, e come
decisi di portarmelo a casa e di attendere lì, con lui la
guarigione o la fine.
Costosamente per noi, e con grande stoicismo da parte sua,
guarì, ma non tornò più grassottello; divenne fragile, esigeva
premure e presenza, ma non perse la fierezza, anzi,
incontrando il suo nemico, continuò per molto tempo a
tremare ed a brontolare minacciosamente.
Sì, oggi posso rivivere tutto questo come se fosse ora, ma
preferisco ricordare i molti anni felici che seguirono: Natali e
Capodanni, vacanze e serate in pizzeria, vernissage e persino
concerti.
Come poi arrivò la fine della vita di Greg, è facile e tristemente
banale da raccontare. Potrei cavarmela dicendo semplicemente
che pian piano lui smise di combattere ed io di trattenerlo. Un
tramonto scontato, previsto e calcolato per cui credevamo di
esserci preparati, e che cionondimeno quando avvenne ci colpi
come una fatalità improvvisa. Come nelle analoghe vicende
degli umani, si passò dal malessere alla malattia, dalla
preoccupazione all’angoscia, dal dubbio alla decisione, e poi alla
triste calma che segue la decisione…
Dormimmo bene, l’ultima notte, io troppo stanca per l’insonnia
e lui acquietato chissà da quale sogno. Al risveglio, Greg era
presente e vigile come da tempo non lo vedevo. Abbiamo fatto
colazione insieme; volle provare il mio biscotto inzuppato nel
caffè, un sapore che non l’aveva mai incuriosito.
Che Dio mi perdoni la presunzione, l’ho benedetto a parole mie,
che qui non riporto. Avevo già messo in un sacchetto il
necessario per una giornata fuori casa, spruzzato il mio
Guerlain sulla sua copertina.
È l’8 marzo, ore 9,30 circa.
Riesco a non piangere. Io e Gianluca ci abbracciamo, gli passo
Greg, accarezzo la testolina setosa.
Il mio vecchietto è andato via.
Ognuno, credo, pensa che il proprio cane sia speciale. Perché
dovrei fare eccezione? Come dice Byron a proposito del suo
Terranova , il nostro Greg aveva le virtù umane senza i
corrispondenti difetti.
“Io ti capisco-mi dicevano i suoi occhi in certi momenti – Vorrei
tanto saperlo dire con le vostre parole. Vorrei tanto aiutarti.”
Credo che la tenera favola del ponte che i cani passano,
morendo, per andare in un bel giardino ad attendere che il
padrone a suo tempo li raggiunga, sia un po’ eterodossa
rispetto alla dottrina cristiana, ma quando elaboriamo un lutto
abbiamo il bisogno, e forse il diritto, di consolarci con una
visione.
Quando penso all’al di là, mi immagino che i miei genitori mi
vengano incontro, su quella soglia di luce in fondo al corridoio
buio di cui si parla. Forse sbaglio, ma mi sembra di vedere che
mio padre porta al guinzaglio il piccolo Greg…
Il nostro Greg ha passato il ponte alle ore 11,30 del 9 marzo
2023. Il suo cuore fiero e affettuoso è diventato una piccola
stella.
M. P.
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