La Venere degli stracci e dei veleni

 

Il rogo di Napoli della Venere degli stracci di Pistoletto ha scatenato un dibattito che è sfuggito di mano ai benpensanti e ai satrapi della storia dell’arte contemporanea. Tutti inorriditi e impotenti perché si sono ritrovati di fronte al fatto compiuto senza saper fronteggiare la sorpresa.

Il paradosso è che chi fa provocazione o dissacrazione, tipici contenuti dell’arte contemporanea, si è trovato dissacrato e provocato a sua volta. Una situazione imprevista nei canoni dell’arte contemporanea. Tutta la sicumera dei noti personaggi che osano mettere il becco dappertutto è andata in frantumi e non è stato un intellettuale famoso o un artista, nemmeno uno storico dell’arte, ma il gesto azzardato di un barbone. Sorpresa travolgente, erano tutti schierati con il colpo in canna per la fucilazione e si sono dovuti calmare gli animi senza avere consolazione perché vari aspetti della vicenda mettevano in contraddizione dei presupposti dell’arte contemporanea a noi tutti noti che tenterò di enucleare.

L’iterazione e la provocazione è uno dei presupposti tanto in voga nell’arte contemporanea, ma questa volta però non è piaciuta. Non solo, la Venere degli stracci, reputata uno dei capolavori più importanti della recente arte, si è vista dissacrata fino alla completa distruzione. Eppure sono i gesti che hanno fatto i grandi concettuali dell’arte contemporanea. Avrei sentito volentieri il parere di Lucio Fontana, famoso per tagliare o bucare le tele, o di Alberto Burri, che bruciava i supporti. E’ un leitmotiv che da lungo tempo ci accompagna come il gesto di Martin Mobarak, che nel ’22 aveva bruciato un quadro di Fida Kalo dicendo che lo voleva riconsegnare al metaverso o anche il quadro “Morons (White)” di Banksy bruciato nel 2018 e rivenduto come performance in video a quattro volte il suo prezzo in NTF, da 95 mila dollari a oltre 382 mila dollari in Blockhain. Si potrebbe continuare a lungo ma credo che quel barbone diventato  per la stampa clochard, più aristocratico, resterà sempre senza una lira, pardon, senza un centesimo di euro.


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