Di seguito alcune riflessioni di Olga Matsyna su

“KLEINHOFF HOTEL”,

film di Carlo Lizzani (1977)

 

Alla casa del cinema è in corso una retrospettiva dei film di Lizzani. È intitolata “Carlo Lizzani e la storia italiana. Gli anni della violenza” e racchiude in sé proiezioni e conferenze che si terranno dal 24 ottobre al 28 novembre.

 

È indescrivibile l’impressione che si ha a vedere un film girato anni, decenni o epoche fa. Si aspetta da esso solo una testimonianza dei tempi che furono. Invece, nel caso del grande cinema, si è di fronte a un’opera d’arte che emoziona ancora. E, forse, lo fa con la stessa efficacia di prima (o con una maggiore

efficacia, addirittura).

 

I film della retrospettiva lizzaniana si possono vedere alla Casa del cinema ogni lunedì alle ore 18. Il 14 novembre era la volta di “Storie di vita e malavita”, un affresco cruento sulla prostituzione femminile minorile che non ha affatto perso di attualità. Oggi, il 21 novembre, c’è stata la volta di “Kleinhoff Hotel” ambientato nella Berlino degli anni di piombo: nel 1977, per esattezza.

 

Karl (Bruce Robinson), un giovane di un gruppo estremista, riceve l’ordine di ammazzare Pedro (Michele Placido) che appartiene anch’egli al gruppo, ma avrebbe – si sospetta – tradito la causa. Karl alloggia nel Kleinhoff Hotel. Nella camera adiacente alla sua c’è Pascal (Corinne Clery) che si invaghisce di lui e

gli propone di cambiare vita abbandonando la lotta clandestina.

 

Delle battaglie di Karl e di Pedro ne sappiamo ben poco: la storia viene raccontata attraverso gli occhi innamorati di Pascale, una borghese. “Il nostro benessere è la conseguenza del nostro cinismo”, – asserisce unsuo amico, rappresentante della “libera” stampa conformista.

 

La decisione di vivere in latitanza si rivela per molti giovani della lotta armata una prigionia che essi si impongono da soli. Non tutti ce la fanno a restare lucidi. Una vita di sregolatezze porta alcuni di loro al suicidio. L’indifferenza dei borghesi di fronte a ciò fa pensare alla vanità del sacrificio e della lotta. Ma, ovviamente, questa

indifferenza racconta ben altro. La mancanza della lucidita che straborda nella follia descrive meglio la gioventù estremista o la società conformista? La domanda resta aperta.

 

Il film, all’epoca stroncato da Tullio Kezich e, più recentemente, da non pochi celebri critici italiani, resta uno sguardo – lucudo e folle al contempo – sul passato, presente e futuro. Al di là delle ideologie, ci parla ancora della coerenza rispetto alle scelte, questione più attuale che mai. E desta in noi il gusto del proibito, sdoganato in Europa negli anni settanta, ma oggi di nuovo potentemente censurato. Nonostante un filone politico e sociale, “Kleinhoff Hotel” è un film fortemente erotico. Se per “erotismo” intendiamo la spinta dell’individuo verso la conoscenza,

giustizia e libertà.

 

Olga Matsyna

Di gila

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